A partire dagli ultimi cinquant’anni il processo di
industrializzazione sembra essersi spinto a velocità sempre più folle nella
corsia preferenziale dell’alta tecnologia, della digitalizzazione, nell’aumento
esponenziale del calcolo computazionale. Mentre sempre più i processi di
produzione, lavoro e gestione dei dati sono affidati alla mediazione delle
intelligenze artificiali, anche i mezzi di informazione tradizionale vengono gradualmente
sostituiti dagli strumenti digitali:
scrittura e calcolo delegati alle macchine, la comunicazione scritta
divenuta sempre più sintetica e obsoleta, la memoria supportata dalle tecnologie.
Da un altro punto di vista, la società dei consumi, nella sua corsa sfrenata al
profitto e alla produzione volta a incrementarlo deve fare oggi i conti con la
crisi climatica globale che mette in discussione la nostra stessa continuità e
sussistenza come specie sulla terra. Ultimo
tema del cambiamento in atto, quello del rapporto a un’idea di verità per
l’uomo contemporaneo, tradizionalmente coincidente con la parola di Dio in una
relazione verticale del Verbo rivelato da Dio all’uomo in maniera profetica e assoluta.
Sempre di più oggi, il concetto di verità diviene relativo, frammentario,
aperto a un’infinità di interpretazioni e dunque dandosi in un rapporto orizzontale
all’ uomo anziché in una relazione gerarchica, assoluta e rivelatoria. Ebbene in questo mutato rapporto alla verità,
nel momento in cui l’essere umano imprime le proprie verità o meglio la adegua
ai propri bisognie desideri in una sfera del tutto terrestre, plasmandola e
modificandola a proprio piacimento, ebbene in questa traslazione in orizzontale
accade e si realizza palesemente il nuovo scenario ontologico e sociale di
oggi: rapido, tecnologico e accelerato conducendoci spesso a una vertigine di
senso.
Lavoro
e processi produttivi
Quindici ore di video, un unico piano sequenza, un
documentario girato in presa diretta in un solo giorno di lavoro nella fabbrica
di indumenti della provincia cinese di Zheijang dove sono impiegati 300 mila
lavoratori migranti dalle province limitrofe.
Monumentale e ipnotico il tema del lavoro si snoda nella sequela
ripetitiva e interminabile del quotidiano dove questa massa di individui appaiono
intrappolati, parte di un meccanismo smisurato e distruttivo che li fagocita e
li divora giorno dopo giorno senza che possano far nulla per impedirlo. Il
video fa luce e denuncia in maniera implicita le condizioni alienanti di lavoro
nella Cina d’oggi lasciando semplicemente parlare le immagini. Uomini e donne
si raccontano di fronte alla telecamera lasciando trapelare stralci dei loro
dialoghi oppure le conversazioni quotidiane, reali che scandiscono le
interminabili ore di lavoro nella fabbrica sullo sfondo della sequela anonima di
produzione a catena. Simile a una sorta
di Cinemà-verité il video sembra
rivelare nella più banale e apparente normalità del quotidiano_ una realtà accettata,
vissuta o subita come norma per coloro che sono parte del meccanismo_ la
portata anonima e alienante del processo produttivo delegato a un sistema
industriale, capitalista e globale fuori dal loro controllo.
Turchia: l’inferno infuocato di un’importante
manifattura di vetri è filmato da Ali Kazma simile a un concerto orchestrato da
un’infinità di ingranaggi arroventati, leve e processi automatizzati nel flusso
ininterrotto, permanente e ritmato della produzione. Rosso è il colore
dominante nel video, il rosso del fuoco arroventato nei processi di fusione e
condensazione del vetro che si plasma nei differenti oggetti e utensili, il rosso
infernale anche del frastuono incessante, dei rumori cadenzati e a ripetizione,
del cigolio ripetitivo delle ruote motrici. Infernale, apocalittico, incendiario
il video passa dagli scenari arroventati della manifattura alla melma stagnante
delle scorie che permangono nel post-produzione .
Anna Wit, “Unboxing the future” ( 2019)
All’interno della fabbrica della Toyota il video inizia
come una discussione aperta tra alcuni dipendenti sul futuro del lavoro in
transizione di fronte ai processi di automatizzazione e le nuove intelligenze
artificiali: software programmati per svolgere i più basilari task
sostituendosi al lavoro umano. Tuttavia,
sullo sfondo grigio e asettico di macchinari e ingenti sistemi di produzione
automatizzati dove il lavoro si dispiega anonimo e ripetitivo in ugual misura svolto
dagli esseri umani e dalle macchine, appunto contro quello sfondo alienante alcune
azioni performative cominciano comparire inaspettate nel video. Questi stessi
soggetti filmati, d’un tratto, decidono di tagliare le loro uniformi stendendo
poi pezzi di tessuto al suolo come attraverso un gioco di bambini innocenti e
divertiti. Nell’immagine successiva suonano musica, chitarra e batteria in una
band all’interno della fabbrica. Sullo sfondo di alienanti meccanismi
industriali iniziano a riscattare la propria anima, ritrovano un respiro
attraverso alcuni movimenti lenti e misurati di Tai chi. Inaspettatamente
rovesciando i presupposti iniziali del video si strappano le uniformi e danno
spazio, respiro e libertà alla propria individualità, anima e corpo nel mondo. Iscrivono
quella traccia dell’esserci e dell’esistere al di fuori di numeri e macchine,
al di fuori del ventre enorme della fabbrica in cui sono fagocitati e risputati
come pedine di un grande meccanismo oltre la loro portata. Semplicemente con un
gesto si liberano dall’oppressione di quella realtà in una coreografia orchestrata
e collettiva.
Nuovi Comportamenti: “Kapitalism”, Paulien Oltheten, (2016)
L’enorme impatto che la rivoluzione digitale esercita
sulla società attuale_ il capitalismo globale fondato sulle nuove tecnologie_
altera inevitabilmente anche i comportamenti sociali in una transizione che non
è soltanto economica ma anche dei modelli e dei valori nel crescente
relativismo occidentale. “Vertigo” in questa sezione della mostra mette in
evidenza la frenesia della riuscita, l’affanno senza limiti nell’ossessione all’ascesa
nella scala del successo,del profitto e della carriera sacrificando nel mentre
quella sfera personale e affettiva, quell’insieme di piccole cose che chiamiamo
vita. Simile a una vertigine che
risucchia e divora il tempo necessario per fermarsi e riflettere sul senso e il
valore delle cose. In antitesi allo stile frenetico in cui siamo immersi, “Kapitalism”
mostra una panchina deserta dove campeggia a caratteri capitali una scritta nera
in grassetto e un uomo non più giovane d’età si avvicina facendo esercizio fisico per mantenere in
movimento il proprio corpo. Una panchina desolata sullo sfondo di un parcheggio
industriale e un pezzetto di prato verde intorno si erge lì, come un unico
barlume di speranza sul paesaggio arido intorno per dare voce a coloro che sono
stato scartati, espulsi o demansionati dal lavoro a causa dell’età o della
crisi economica. Si erge lì in mezzo al nulla come una scintilla di luce, un
momento di pausa e di quiete, uno spazio per fermarsi, riflettere e decidere;
l’immagine di un pendolo che amplifica ogni secondo apparentemente
insignificante della nostra vita come centrale, unico e irripetibile.
Sven Johne, “The long way home”( 2016)
Un uomo guida un’auto nella notte per tornare a casa,
sopraffatto, esausto nella mente e nel corpo, mentre notizie terrificanti di
cronaca risuonano trasmesse dalla radio sullo sfondo. La voce fuori campo del
video ci racconta che non dorme da giorni, sovraccarico di lavoro, teso e
estenuato dalla stanchezza. Per questo il medico gli ha consigliato di
“prendere la strada più lunga” e sicura per tornare a casa, di prendere una
pillola e cantare una ninna nanna per addormentarsi come un bambino. Guida
nella notte confuso, smarrito, con il volto in primo piano immerso nella totale
oscurità della scena. Gli hanno detto di cantare una ninna-nanna prendendo la
via più lunga per tornare dopo il lavoro. Canta a bassa voce una melodia
infantile lenta e cadenzata per trovare quiete e respiro, il sonno che non può
avere; canta per ritrovare una via di salvezza oltre i fantasmi della sua mente
e il terrore silente della notte riempito di voci minacciose nella solitudine che lo circonda.
Contratto sociale: Julika Rudelius, “ The only reason”…(2019)
Quartieri popolari deturpati nella Central City East di
Los Angeles scorrono attraverso tre grandi schermi in immagini parallele che
proseguono l’una accanto all’altra attraverso inquadrature singole, doppie o
triple restituendo una visione complessa e segmentata. La videocamera scivola
lenta attraverso le strade e i marciapiedi senza soluzione di continuità
inquadrando perlopiù individui senza fissa dimora che bivaccano sui marciapiedi
o altri in preda a deliri di tossicodipendenza. Mentre tende, cartoni e stracci
per dormire in strada compaiono in primo piano si intravvedono a distanza
tutt’intorno solide architetture inaccessibile a loro. Tendopoli contro cui
sfrecciano lussuose limousine e, ancora più lontano la città scintillante dal
lusso sfrenato di Hollywood. Come mostrato implicitamente dal video il neoliberalismo senza limiti in
America produce enormi derive sul contratto sociale e una società radicalmente
divisa tra monopoli di potere e le fasce più basse di diseredati senza alcuna protezione sociale.
Ambiente Naturale : Will Benedict, “All bleeding stops
eventually”, (2019)
Nei brevi video animati e surreali alcuni animali
appartenenti a una specie a rischio, il sole e la luna stessi si rivolgono
direttamente agli umani i per affidare a loro un messaggio importante sulla
natura, la crisi ambientale e il
cambiamento necessario per salvare la terra dalla distruzione e preservare la
continuità della specie. “A che cosa
serve l’oceano? A dare un ritmo a tutto ciò che è selvaggio e confuso?
Immaginate l’oceano come l’origine di una nuova identità: ciò che vi permette
di abbandonare l’esperienza coloniale del passato per il nuovo quartiere
generale di un’etica globale nella quale identificate l’oceano come parte
integrante di voi”. La voce degli elementi si incarna attraverso la parola
data al sole e alla luna nella necessità di divenire parte integrante della
natura superando quella posizione di separazione o di incontrastato predominio
che ha sempre contraddistinto l’uomo nel suo modo di rapportarsi al mondo
naturale. Solo prendendo questa strada sembra dirci il video per citare il
titolo, “ ogni sanguinamento terminerà alla fine” e potremo, infine, iniziare a
spargere i semi di un nuovo futuro attraverso un’etica globale più solidale e
costruttiva per l’umanità e l’intero pianeta.